Il voto del 4 marzo ha cambiato profondamente il nostro sistema politico. Se dal dopoguerra ad oggi la spaccatura dominante è stata quella tradizionale “destra-sinistra”, queste elezioni hanno dimostrato che la spaccatura è un’altra: “chiusura vs apertura”. Che poi si può declinare in vari modi: economia di mercato vs protezionismo; Ventotene vs Visegrad.

Voglio essere chiaro: il 4 marzo non ci sono state solo forti scosse nel sistema politico. Il 4 marzo è crollato l’intero sistema politico. E che quindi spostarsi in orizzontale, sulle macerie, più verso sinistra o più verso il centro oltre che essere difficoltoso perché sulle macerie si rischia di inciampare è anche privo di senso e prospettiva.

Pensare di muoversi un po’ più a destra o a sinistra, un po’ più al centro, o riprendendo vecchie formule del passato (“aprire alla sinistra”, “dialogare col centro”) vuol dire collocarsi nel passato prossimo, mentre un futuro diverso può essere già presente se prendiamo atto della necessità di una profonda trasformazione delle forze politiche.

Noi dobbiamo tornare a parlare all’Italia, cominciando da quella grande parte di italiani, almeno il 50%, che non si è lasciata sedurre dalle sirene del protezionismo e del sovranismo; mezzo Paese che crede nella proposta e non nella protesta; mezzo Paese che crede nell’Unione Europea e non nel lepenismo.

Di fronte ai populismi serve radicalità di pensiero: servono proposte chiare e nette, serve rimettersi in cammino e presentare un’idea di Paese nitida, senza incertezze e titubanze. Solo così potremo recuperare i voti di chi ha scelto i 5stelle o di chi si è rifugiato nell’astensione.

Dobbiamo e possiamo occupare un grande spazio centrale: riformatore, europeista, liberale, sociale e democratico. Dobbiamo parlare ai tanti italiani che non vogliono un nuovo bipolarismo tra leghisti e pentastellati. Che scelgono le riforme. Che scelgono l’Europa. Che scelgono la società aperta.

L’attuale governo gialloverde non è l’inizio di un nuovo bipolarismo ma al contrario ci spalanca una finestra strepitosa per un nuovo grande cammino per il vero cambiamento, le riforme, i diritti e l’Europa.

Non siamo diventati di colpo un paese di razzisti né un paese in fila per il reddito di cittadinanza.

E se lo faremo ora, con coraggio, con forza, con determinazione sapremo anche recuperare il voto dei giovani, gli elettori che per rabbia, delusione, paura si sono affidati agli spacciatori di demagogia a buon mercato. E che capiranno più rapidamente di quanto pensiamo chi sono veramente Salvini e Di Maio.

Non ci vorrà molto. Non facciamoci trovare impreparati quando verrà quel momento. E in ogni caso, tra 10 mesi avremo un appuntamento fondamentale per questo percorso: le elezioni europee, il primo test della nostra capacità di reagire.

Insisto su questo punto perché non si tratta di una eccezionalità italiana. E’ tutto il panorama politico europeo a essere trasformato. Nell’Unione europea si sta imponendo una realtà in cui a un blocco di paesi europeisti fa da contraltare un blocco, sempre più agguerrito e numeroso, di paesi sovranisti. E’ naturale che questa tensione si rifletta anche nei sistemi politici nazionali.

Dobbiamo prendere atto di questa nuova realtà e attrezzarci per rispondere a una società trasformata: i vecchi attori politici devono profondamente cambiare per proporre un’offerta politica adeguata e convincente a quei cittadini che scelgono la proposta e non la protesta; le frontiere aperte e non i dazi; Ventotene e non Visegrad, Macron e non Orban.

Ma se vogliamo l’Europa politica, allora bisogna che la politica, con le grandi idee, le passioni, ritrovi diritto di cittadinanza in Europa. Era dagli anni 30 del secolo scorso che il nostro continente non era così Esposto a tante incertezze e tanti pericoli: le minacce commerciali di Trump, le dimostrazioni di forza di Putin, l’ascesa autoritaria di Xi Jinping, le violazione dello Stato di diritto in Polonia, in Ungheria. Per non parlare del disastro siriano - la vergogna di Afrin!!!! - dei rischi nordafricani e del fondamentalismo musulmano.

Mai il mondo ha avuto così tanto bisogno di Europa, della sua forza di equilibrio, dei suoi valori, del suo metodo di gestione pacifica dei rapporti tra popoli e stati.

Europa politica, Europa sociale, Europa della difesa, Europa che moltiplichi opportunità e protezioni.

In una sua riflessione di qualche mese fa, Michele Salvati sosteneva che “l’Europa disunita non è stata in grado di difendere il modello sociale europeo, e in sostanza ha funzionato come cinghia di trasmissione della globalizzazione”. Sono molto d’accordo, anche perché è la stessa analisi che si può applicare ai partiti europeisti che hanno governato in questi anni. Una forza progressista non può e non deve opporsi alla globalizzazione, ma non può nemmeno accontentarsi di smussarne gli spigoli.

Attenzione, questo vuol dire rinnegare o sminuire tutto quello che abbiamo fatto in questi anni di governo? Assolutamente no, anche perché, mutatis mutandis, è lo stesso problema che si ritrovano molte amministrazioni locali e regionali che hanno ben governato ma che sono state sconfitte in una delle ultime tornate elettorali.

Il Partito Democratico ha avuto un grande merito e un grande limite. Il grande merito è stato quello di aver realizzato una infinità di provvedimenti e misure che erano contenute in ogni programma di centrosinistra degli ultimi 20 anni. Fate questo esperimento: andate a recuperare i programmi elettorali degli ultimi 20 anni, e troverete promesso ciò che il Pd degli ultimi anni ha realizzato. Dal taglio del costo del lavoro ai diritti civili. C’è tutto. Il grande limite, tuttavia, è che a questa energica capacità governativa è mancata la capacità di costruire una visione politica che andasse nel paese a spiegare perché la buona scuola, algoritmo a parte, era una cosa giusta (e non a caso la stanno smontando); perché un mercato del lavoro più flessibile è stata una battaglia di avanguardia e non di retroguardia.

Il Pd di colpo si è ritrovato marginale nel paese non perché questa legge sia stata un po’ troppo di destra o un po’ troppo di sinistra. Ma perché non è stato capace di essere centrale nei tessuti vitali della società italiana, andando a combattere per difendere l’operato del governo. Abbiamo ingaggiato una battaglia di corto respiro con i populisti, e questo ci ha penalizzato. Mai combattere con le stesse armi dei populisti.

Marco Bentivogli sostiene da tempo che la sinistra abbia perso perché incapace di raccontare un’idea di futuro agli italiani. Un futuro industriale, un futuro digitale, un futuro ecologista: abbiamo curato (bene, lo rivendico) le trasformazioni dell’oggi ma non stiamo stati capaci di spiegare quale paese volevamo per i nostri figli. Faccio un esempio molto chiaro: ci siamo lasciati trascinare nella bagarre su quanti migranti arrivano ogni giorno in Italia. Su questo, siamo perdenti in partenza. Perché allora non ribaltare il tavolo, e spiegare che il problema non è (solo) quanti migranti arrivano sulle nostre coste, ma perché tanti giovani italiani vanno all’estero per obbligo e non per scelta? Oppure: perché i migliori talenti europei e mondiali, le migliori intelligenze, non vengono a fare ricerca da noi, a lavorare da noi? Questo è l’errore del Pd: ingaggiando oggi una lotta ad armi pari coi populisti, ha perso la capacità di spiegare l’Italia di domani.

Di fronte a tutto ciò, il Pd non è sbagliato. È semplicemente insufficiente. Ce l’hanno detto anche gli italiani il 4 marzo. Quindi possiamo pensare di cambiarlo guardando al passato e dicendo che bisogna essere più di sinistra; così però non consideriamo che alla nostra sinistra hanno fatto fatica ad arrivare al tre per cento. Dobbiamo trasformarci in Italia, per costruire un’alternativa radicale al lepenismo di Salvini, oggi l’estrema destra antieuropea ha ormai egemonizzato la destra, il Centrodestra non esiste più. E a qualunquismo estremo penta stellato.

E dobbiamo trasformarci in Europa, dove le famiglie politiche tradizionali sono del tutto superate dalla realtà politica, dalle trasformazioni della società, dalla globalizzazione. Il PPE è diventato il Partito Pigliatutto Europeo, che va da Juncker a Orban. Il PSE è chiuso in un campo sempre più piccolo. Mentre quello degli estremisti anti europei si allarga a dismisura.

Se vogliamo essere il terzo o quarto gruppo, dietro il Partito Pigliatutto e i Movimenti Distruggitutto, rimaniamo pure fermi negli schemi del secolo scorso.

Se gli europeisti i riformisti, i liberali vogliono rimanere minoranza in Italia e in Europa continuino pure a marciare divisi. Non arriveranno mai alla metà, saranno marginalizzati, fagocitati dagli estremisti, condannati all’irrilevanza, a scomparire...Saranno Grillizzati e Leghizzati. MA per l’Italia, per l’Europa, per i nostri valori, non possiamo permetterlo.

Io credo invece che occorra una nuova proposta, sociale e liberale, progressista ed europeista. Una grande forza centrale capace di sconfiggere i partiti della rabbia sociale e della paura, gli estremismi antieuropei, i pentastellati e i lepenisti salviniani che hanno già dato prova proprio in questi giorni della loro spregiudicatezza e della loro inaffidabilità.

Dobbiamo utilizzare le elezioni europee per costruire nuove alleanze europee, andando oltre il campo del Pse. Il Pd dovrebbe essere uno dei federatori di questa nuova alleanza, coinvolgendo En Marche, e tutte le forze democratiche, liberali, ecologiste e progressiste che vogliono continuare a lottare per l’Unione Europea e per la società aperta.

Lo so, gli ideali non sono molto di moda oggi. Invece io li rivendico con forza.

L’Europa è un ideale, attorno al quale riorganizzare il sistema politico e la nostra proposta politica. Sulla quale scommettere il nostro futuro. Sulla quale costruire la nostra rivincita italiana, che potrà arrivare molto prima di quanto pensiamo. E dobbiamo farci trovare pronti.

Testo della relazione di Sandro Gozi all'Assemblea Nazionale di Libertà Eguale a Orvieto, 15 luglio 2018